jeudi 31 décembre 2009



Piena di buoni propositi...

mercredi 30 décembre 2009

Even Cowgirls Get The Blues



Ciò che sorprende in Sissy Hankshaw è che da grande non è diventata un disastro nevrotico. Se voi siete una bambina di un piccolo quartiere periferico di Richmond in Virginia, come era Sissy, e vostro padre a volte vi prende in giro chiamandovi “tutta pollici”, non vi resta che farci il callo o andare in pezzi.
Tom Robbins

lundi 7 décembre 2009

PERCHÈ SE IO AVESSI TRE MILIARDI COMPREREI LA PAROLA DI QUEI POTENTI CHE SI FANNO ASCOLTARE CON LA FORZA


"Ho scoperto che la tenerezza, la sessualità e l' amore devono restare sempre uniti insieme esattamente come cuore polmoni e fegato devono stare nello stesso corpo.Questa cultura ostile agli uomini ha separato questi 3 sentimenti umani....e allora la tenerezza senza sessualità e amore produce ipocrisia; la sessualità staccata dalla tenerezza e dall' amore produce pornografia e l' amore isolato dalla tenerezza e sessualità produce misticismo.
Infatti ipocrisia, pornografia e misticismo sono i caratteri predominanti attraverso il quale si presenta la nostra società."
D' amore si vive è un film documentario prodotto nel 1984 diretto dal regista Silvano Agosti.

Quest' opera è il prodotto di oltre nove ore di interviste raccolte nella città di Parma; colloqui che esplorano i regni della sessualità, dell' amore e della tenerezza sotto diverse luci.
Una madre, una giovane ragazza tossicodipendente, un bambino di 7 anni, un' anziana prostituta (che fu trovata morta suicida il giorno dopo l' intervista)e infine due transessuali sono gli attori, se così li possiamo definire, dal momento che questo film non ha per fortuna nulla a che vedere col cinema odierno dove abili imprenditori con storie lacrimose o sanguinolente vogliono ingannare la gente.
Con questo film il regista cerca di accentuare la sua personale posizione contro tutte quelle persone che ogni giorno vogliono dimostrare che questo mondo è orribile, a favore di una visione senza filtri, per ritrovare un sentimento perduto.
Un film che riavvicina lo spettatore al vero significato del cinema.


Grand film documentaire de Silvano Agosti. Film fou, tourné à Parme en 1984, produit pas les habitants de la ville (qui pendant trois ans ont payé le raisin 50 centimes de plus que le prix normal pour financer le tournage d'Agosti).

samedi 28 novembre 2009

mercredi 25 novembre 2009

Interview with William S. Burroughs



(Originally appeared in Journal For the Protection of All Beings, 1961)
By Gregory Corso and Allen Ginsberg

Gregory Corso: What is your department?

William Burroughs: Kunst und Wissenschaft.

Gregory Corso: What say you about political conflicts?

William Burroughs: Political conflicts are merely surface manifestations. If conflicts arise you may be sure that certain powers intend to keep this conflict under operation since they hope to profit from the situation. To concern yourself with surface political conflicts is to make the mistake of the bull in the ring, you are charging the cloth. That is what politics is for, to teach you the cloth. Just as the bullfighter teaches the bull, teaches him to follow, obey the cloth.

Gregory Corso: Who manipulates the cloth?

William Burroughs: Death

Allen Ginsberg: What is death?

William Burroughs: A gimmick. It’s the time-birth-death gimmick. Can’t go on much longer, too many people are wising up.

Gregory Corso: Do you feel there has been a definite change in man’s makeup? A new consciousness?

William Burroughs: Yes, I can give you a precise answer to that. I feel that the change, the mutation in consciousness, will occur spontaneously once certain pressures now in operation are removed. I feel that the principal instrument of monopoly and control that prevents expansion of consciousness is the word lines controlling thought, feeling and apparent sensory impressions of the human host.

Allen Ginsberg: And if they are removed, what step?

William Burroughs: The forward step must be made in silence. We detach ourselves from word forms — this can be accomplished by substituting for words, letters, concepts, verbal concepts, other modes of expressions: for example, color. We can translate word and letter into color — Rimbaud stated that in his color vowels, words quote “words” can be read in silent color. In other words, man must get away from verbal forms to attain the consciousness, that which is there to be perceived at hand.

Gregory Corso: How does one take that “forward step,” can you say?

William Burroughs: Well, this is my subject and is what I am concerned with. Forward steps are made by giving up old armor because words are built into you — in the soft typewriter of the womb you do not realize the word-armor you carry; for example, when you read this page your eyes move irresistibly from left to right following the words that you have been accustomed to. Now try breaking up part of the page like this:

Are there or just we can translate many solutions for example color word color in the soft typewriter into political conflicts to attain consciousness monopoly and control

Gregory Corso: Reading that it seems you end up where you began, with politics and it’s nomenclature: conflict, attain, solution, monopoly, control — so what kind of help is that?

William Burroughs: Precisely what I was saying — if you talk you always end up with politics, it gets nowhere. I mean man it’s strictly from the soft typewriter.

Gregory Corso: What kind of advice you got for politicians?

William Burroughs: Tell the truth once and for all and shut up forever.

Gregory Corso: What if people don’t want to change, don’t want no new consciousness?

William Burroughs: For any species to change, if they are unable and are unwilling to do so — I might, for example, have suggested to the dinosaurs that heavy armor and great size was a sinking ship, and that they do well to convert to mammal facilities — it would not lie in my power or desire to reconvert a reluctant dinosaur. I can make my feeling very clear, Gregory, I feel like I’m on a sinking ship and I want off.

Gregory Corso: Do you think Hemingway got off?

William Burroughs: Probably not.


Karen Dalton in Paris. Photo by Dan Hankin.

lundi 2 novembre 2009

Ma i poeti, nel loro silenzio fanno ben più rumore di una dorata cupola di stelle.



« Alda Merini est une comète, un météorite qui n'aurait jamais atterri sur terre, mais l'aurait frôlée de si près, que les êtres sur cette terre en ressentiraient au fond d'eux-mêmes la douleur éternelle... » (Dom Corrieras).

Alda Merini, poetessa dell'amore, di tutte le sue esclusioni e di tutti gli esclusi.

Sono folle di te, amore
che vieni a rintracciare
nei miei trascorsi
questi giocattoli rotti delle mie parole.
Ti faccio dono di tutto
se vuoi,
tanto io sono solo una fanciulla
piena di poesia
e coperta di lacrime salate,
io voglio solo addormentarmi
sulla ripa del cielo stellato
e diventare un dolce vento
di canti d'amore per te.

Ha amato la sua sofferenza, non ha avuto mai paura della morte.
Alda Merini, l'amica di Giorgio Montanelli, Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale e Pier Paolo Pasolini, singolarissima e intensa figura di donna e di poetessa, è morta.
Diceva ultimamente di amare la sua vecchiaia ma di non ricordare quando fosse iniziata: "Sono nata vecchia" diceva con quelle sue frasi nude, vere e amare dove la donna vissuta faceva il paio con l'intellettuale.

Avrebbe meritato un Nobel, ma aveva anche detto di non volerlo visto che l'Italia non l'aveva trattata a dovere, tuttavia se fosse arrivato avrebbe devoluto il corrispettivo a chi cura le malattie mentali.
Ci resta - nella sua poesia, cosi' dolorosa perchè specchio impietoso della nostra anima- la sua voce resa roca dalle sigarette e - nelle immagini - quella risata da donna forte che ha saputo solcare il deserto di un manicomio (inflittole dal marito).


« Il faudra sans doute que le visage tourmenté d’Alda Merini s’éloigne un peu pour que l’on puisse estimer à sa juste valeur une œuvre poétique de premier plan. Il est vrai que cette femme, jeune poétesse prodige saluée par les plus grands et devenue leur amie, marquée par la dure expérience de la folie, est devenue une icône de la culture italienne. C’est, en un sens, la desservir. On ne doute pas de l’issue. L’œuvre l’emportera. »

Martin Rueff, Avant-propos de la notice consacrée à Alda Merini dans Po&sie 109.

La sua casa, con vecchi libri, gatti e numeri di telefono scritti sui muri con la penna o con il rossetto, due locali sui Navigli.
Le sue apparizioni, con pelliccia, collane di perle, labbra e parole rosso passione. I giorni neri dell’ospedale psichiatrico e della follia, raccontati in prosa e poesia. E, soprattutto, i versi impetuosi che nascevano di getto, da trascrivere in tutta fretta su un pezzo di carta.
Vogliamo ricordarla così, Alda Merini, la poetessa italiana mai seduta alla scrivania, «nata il primo giorno di primavera».

La casa non geme più sotto lo scricchiolio dei tuoi passi,
la casa non geme più
e datemi i rumori
i rumori pesanti
datemi i rumori di Charles
datemi il suo pensiero e il suo lento fuggire
ridatemi i rumori, della sua carne perfetta.

mardi 13 octobre 2009

Ooh





Baby's

apricot

with

its

tongue

hanging

out

I fight

the constant

conscious

conscious

I fight

for

you.


(Eileen Myles)



Eileen Myles’s Cool for You: An American Classic (Terence Winch)

A few days ago, I wrote about the Irish-American reading at St. Mark’s Church in Manhattan in 1982, focusing on the work of the great Ted Berrigan. One of the other readers that evening was Eileen Myles (Download EileenMyles-onTedBerriganEileen Myles). After that night 27 years ago, I don’t think I saw Eileen again until January of 2009, when she came to a reading I did with Michael Lally in New York. It was a kick to meet up with her again. We agreed to exchange books, and a few weeks later Sorry, Tree (a book of poems) and Cool for You, which is called “a novel” right there on the cover, but which has the feel of a memoir, arrived in the mail. I want to focus here on Cool for You.

In an interview before the novel came out, Eileen said, "I'm writing, working on a new book called Cool For You. ...It's more about childhood. It's weird because it's technically about female incarceration. I had this idea about how the outsider in art is really male. Because I always think that females are insiders, and that female rebellion starts someplace where you're really trapped, like mental hospitals or shitty jobs. So I'm exploring my narrator, the Eileen Myles character, from the position of being, like, a camp counselor, and in lousy jobs and institutions. I have an Irish grandmother who ended her life in a state mental hospital in the '50s, during my childhood. So I'm weaving a lot of my childhood in with the notion of work and jobs. It's totally about class."

What I found most fascinating about this book, which was my primary reading matter this week, is that while every inch of text succeeds as absorbing narrative---an addictive portrait of the artist as a young woman, with plenty of sex, oppression, and craziness to keep her readers completely hooked on the story---the language here is so accomplished, the story so vividly and exquisitely rendered, that you can take practically any paragraph and turn it into a poem:

My belly was protruding a little. I wanted a cigarette. No, I will not smoke. I was trying to purify my youth. I wanted to be a perfect sacrament. I was trying to relax. I was trying to not die right away. I was trying to not start clenching my fists. Cissy get me a donut. Get me six. I was trying to stay awake. I was trying to be human. Get me a Coke too. I was trying not to cry. I was trying not to vanish.

This is indeed a very cool book, filled with the terrors of childhood and beyond, with a sense of the physical that brought to mind Alexander Lowen's comment in his classic study The Betrayal of the Body that "the knowledge of the ego must be tempered with the wisdom of the body." Such wisdom pervades this book. On menstruation, e.g., Myles writes: "Don't you think better when you're bleeding, don't you want to stay home and smoke and read and write. Don't you feel tremendously sexy. Have you spent years hiding it, arming yourself against revelation, the stains and the bloody smell. Do you want to fuck. I remember my friend describing his face when he described eating the pussy of a bleeding woman. That he had red wings."

(Source: The best american poetry)

jeudi 24 septembre 2009

la mia Tiger Lily

When The Water Gets Cold And Freezes On The Lake

i think i'd rather wait for the winter to come
i never make a move when i'm out in the sun

i'll be ready to forgive your foolish mistake
when the water gets cold and freezes on the lake

i need a good night of sleeping, i need a little more time
i need to sleep for a few months before i make up my mind

i'll be up early in the morning and wide awake
when the water gets cold and freezes on the lake

i saw your face in a dream, i heard your name in a vision
i give myself a season before i make a decision

my knees will be steady and my hands won't shake
when the water gets cold and freezes on the lake

there's a lot of things i'm doing i never thought i would do
there's a lot of places in the world that i would never go to without you

right now i need to stay home and i don't need your company
right now i need to alone and i need you to stay away from me

i love the smell of your hair and the deep of your eyes
but you're far too complicated and you tell a lot of lies

i'll see what's right and what's wrong, i'll see what's true and what's fake
when the water gets cold and freezes on the lake

and then i'll send out invitations to my family in france
they will come all the way from sweden, they will come all the way from france

my brother will bless the wine and my sister will bake a cake
when the water gets cold and freezes on the lake

then when the time is right and when i think i understand
when i forget that you're a runaway, that you've had another man
you'll come to me crawling as fast as a snake
when the water gets cold and freezes on the lake

there's a lot of things i'm doing i never thought i would do
there's a lot of places in the world that i would never go to without you

but right now i need to stay home and i don't need your company
right now i need to alone and i need you to stay away from me

and then in the white of the snow and the quite of nature
i will ask you to stay with me no matter the temperature
i hope you'll say: "yes" and won't try to escape
when the water gets cold and freezes on the lake

mercredi 23 septembre 2009

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale, Eugenio Montale


Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
5 le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
10 Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

[da Satura]

mardi 15 septembre 2009

Poco di me ricordo


« Poco di me ricordo
io che a me sempre ho pensato.
Mi scompaio come l’oggetto
troppo a lungo guardato.
Ritornerò a dire
la mia luminosa scomparsa. »

Patrizia Cavalli

samedi 12 septembre 2009

jeudi 3 septembre 2009


"Io, quando leggo Silvio D’Arzo, mi viene in mente le foto di Ghirri. E quando mi viene in mente le foto di Ghirri, è sempre un buon segno. Questa qui ha per titolo Casa Benati, Reggio Emilia, 1985"

lundi 31 août 2009

dimanche 2 août 2009

Si nous étions lucides, instantanément l'horreur de la vie quotidienne nous laisserait stupides.
Henry Miller, Le monde du sexe, 1940

mercredi 22 juillet 2009

Mon Eros très privé – 1974 – Kazuo Hara







Les années 1970, Japon. Kazuo Hara rempile pour un nouveau documentaire bouleversant les tabous de l’époque. Après les handicapés, le réalisateur s’intéresse à la femme japonaise, à l’amour et aux sentiments : à la sphère intime. Sans aller chercher trop loin, il décide de se baser sur un cas personnel, de suivre son ancienne compagne pendant plusieurs années. Comme il l’explique en début de film, il réalise ce docu pour mieux la comprendre.

Cette femme s’appelle Miyuki, elle est partie vivre à Okinawa avec leur enfant. Elle avait quitté le réalisateur par manque d’espace, trouvant qu’il commençait à trop l’étouffer. Durant l’introduction Hara revient sur sa relation avec elle, en voix-off, tandis qu’une série de photos s’affiche à l’écran. À la vision de ces images, le commentaire parait surréaliste tant la femme semble appartenir à la norme. Docile, gentille, dévouée et amoureuse. Difficile de croire qu’il s’agit là d’une femme déterminée à forte personnalité. Pourtant, c’est bien elle qui a largué le réalisateur.

Kazuo Hara part donc pour Okinawa où il va s’immiscer dans la vie privée de son ex, réussir à se fondre dans le décor. Si la dernière photo de l’introduction est claire quant à l’originalité de la femme, posant nue et enceinte, rien n’indiquait à quel point son style de vie diffère totalement de celui d’une mère au foyer classique. Déjà, la femme est bisexuelle, elle est avec une autre femme. Quand le réalisateur arrive chez elles, il crée une tension au sein du couple, et assiste pendant ses quelques jours de présence à des engueulades parfois violentes. Ce n’est qu’un début.

Les histoires d’amour de Miyuki ne durent pas longtemps et s’enchaînent facilement. Elle peut rencontrer beaucoup de personnes à son travail, elle est danseuse dans une boîte de nuit. C’est comme ça qu’elle tombe amoureuse d’un soldat noir-américain, le père de sa future fille. Mais il n’aura pas l’opportunité de voir sa fille grandir, le couple se sépare après trois semaines. Hara aura une discussion houleuse avec Miyuki sur l’origine de cette relation, pointant des raisons uniquement raciales quand la femme essaye tant bien que mal de parler de la personnalité du soldat. Le réalisateur s’interroge après avoir assisté à une discussion périlleuse entre le soldat et elle avec son anglais approximatif.

À Okinawa, elle n’est pas la seule à devenir mère après une courte liaison. Beaucoup d’autres femmes se retrouvent enceintes et décident de l’assumer jusqu’au bout. Toutes ces femmes ont un fort caractère et ne laisse pas faire, elles ont appris à être fermes et combatives quand il le fallait. Certaines racontent à la caméra des anecdotes violentes de leurs vies, des altercations entre hôtesses de bar, des difficultés à se nourrir. Hara va même à la rencontre d’une adolescente qui travaille dans ce milieu, vivant de son corps comme les autres.

Miyuki se montre aussi très possessive et parfois arrogante. Quand elle rencontre la nouvelle femme de Hara, elle n’essaye pas d’être chaleureuse et accueillante, au contraire, elle est désagréable et balance des méchancetés gratuites à la figure du nouveau couple. Sa réaction prouve qu’elle reste attachée au réalisateur, qu’elle se pensait peut-être irremplaçable. Une femme forte touchée dans son ego. De son côté, Kazuo Hara se montre plus doux, il se laissera filmer en train de pleurer, lui l’homme japonais craque devant la caméra.

Cette femme ne se laisse pas enterrer par les difficultés de la vie. Lorsqu’elle quitte Okinawa, elle prend le temps de distribuer dans les rues un papier pamphlétaire sur l’île, livrant une vision acerbe de l’endroit. Elle finira par se faire attaquer par une bande de gangsters qui déchireront les papiers, Hara sera aussi témoin de cette rixe. Mais le plus surprenant, dans ce qui s’avère être la scène du documentaire, c’est son accouchement sans aide médicale dans l’appartement du réalisateur. Un passage somptueux et tendu, entre la peur et la joie. Tellement que Kazuo Hara en oubliera de faire une mise au point, laissant la scène dans le flou. Ce qui n’égratigne en rien l’impact d’un instant pareil. Au final, la femme est fière de cet accouchement, bien que fatiguée elle reste plus que jamais lucide et consciente.

À l’exception de quelques commentaires en voix-off, Kazuo Hara laisse le film se construire au fil de évènements. Il n’intervient pas directement, n’essaye pas d’influencer le film et de surexposer des points. Il conserve une liberté de ton étonnante tout en restant dans l’ombre de Miyuki et de sa vie. Sa caméra parvient à s’intégrer parfaitement dans le quotidien de la femme, sans en perturber le déroulement, tout conserve sa spontanéité qu’importe l’endroit, la rue, une boite de nuit, un bar. Le spectateur est auprès des personnages. Le principal changement effectué est au niveau de la bande son, régulièrement désynchronisée par rapport aux images. Une manière de varier les plans sans perdre l’ambiance.

(Source: wildgrounds.com)

dimanche 12 juillet 2009


"Ce qu’il y a d’envoûtant dans la moindre œuvre de Buñuel (et dans ce El qui n’est pas une des moindres) vient de cet engouement total et partiellement involontaire de notre auteur dans tout ce qu’il crée. Les maladresses de El, ce côté un peu démodé qui tient moins sans doute à Buñuel lui-même qu’à l’état présent non seulement de la société mais du cinéma mexicains, sont de négligeables défauts si on les compare aux beautés de l’œuvre".
Claude Mauriac, 12/06/1954





La gelosia ossessiona a tal punto Francisco Galván de Montemayor da rovinare la vita a lui e naturalmente alla moglie Gloria che minaccia e opprime in tutti i modi (immagina di torturarla con forbici, corda e rasoio, le spara a salve, la vuole buttar giù da un campanile). Convinto che tutti ridano alle sue spalle, impazzisce e si ritira in un convento dove spera di ritrovare la serenità. Tratto da Pensamientos di Mercedes Pinto, è un geniale ritratto delle ossessioni a cui può portare l’idea borghese del " possesso " e un’educazione preoccupata solo del machismo sociale e sessuale : perfettamente in equilibrio tra la commedia e la tragedia, il film non dà giudizi moralistici sul protagonista ma racconta, con una coerenza pari solo all’ironia, le conseguenze che certi valori culturali e religiosi hanno sul comportamento umano (e la scena finale, con Francisco che nella presunta tranquillità del convento continua a camminare a zig-zag come durante i suoi eccessi di gelosia, riapre con uno sberleffo tutta la storia). Per esplicita dichiarazione di Buñuel è il film in cui ha messo più di se stesso.

« El/Tourments est un de mes films préférés. A vrai dire il n’a rien de mexicain. L’action pourrait se dérouler n’importe où, puisqu’il s’agit d’un portrait de paranoïaque. » (Luis Buñuel)

Achille TOURNIER (Pensées d'Automne)


Quand on connait les femmes, on plaint les hommes; mais quand on étudie les hommes, on excuse les femmes.

mardi 7 juillet 2009


Ringrazio la sedia la scala la poltrona
che mi accoglieva in improvvisa debolezza
quando improvvisa entrava nella stanza
del tuo corpo assoluto la certezza.
.
Tu te ne vai e mentre te ne vai
mi dici: "Mi dispiace".
Pensi cosí di darmi un po' di pace.
Mi prometti un pensiero costante struggente
quando sei sola e anche tra la gente.
Mi dici "Amore mio mi mancherai.
E in questi giorni tu cosa farai?"
Io ti rispondo: "Ti avrò sempre presente,
avrò il pensiero pieno del tuo niente"

lundi 6 juillet 2009

Il n' y a pas d'amour
Il n' y a que des preuves d'amour

Jean Cocteau

Katsushika Hokusai, Pivoines et papillon

Eluard, Capitale de la douleur

La courbe de tes yeux fait le tour de mon cœur,
Un rond de danse et de douceur,
Auréole du temps, berceau nocturne et sûr,
Et si je ne sais plus tout ce que j'ai vécu
C'est que tes yeux ne m'ont pas toujours vu.

Feuilles de jour et mousse de rosée,
Roseaux du vent, sourires parfumés,
Ailes couvrant le monde de lumière,
Bateaux chargés du ciel et de la mer,
Chasseurs des bruits et sources des couleurs,

Parfums éclos d'une couvée d'aurores
Qui gît toujours sur la paille des astres,
Comme le jour dépend de l'innocence
Le monde entier dépend de tes yeux purs
Et tout mon sang coule dans leurs regards

jeudi 2 juillet 2009

mercredi 1 juillet 2009


Rencontre avec Emmanuelle Houdart
Emmanuelle Houdart aime mettre de la gravité dans ses albums et questionner. On lui pose inévitablement la question des monstres…
Le monstre c’est le subversif, il peut tout se permettre, tout faire…
La création de monstres permet de tout inventer, E. Houdart tient à déjouer les normes, à être décalée. Le monstre c’est aussi la menace, tout ce qui peut nous fragiliser : ce n’est pas seulement un personnage de ce qui nous fait peur, c’est aussi un symbole de plusieurs choses : la subversion, la menace. Dans chacune de ses images il y a la menace mais la protection est toujours présente aussi car en aucun cas elle ne veut faire du morbide, mais la protection est toujours un petit élément, un petit personnage.
Elle utilise des images de livres dans ses livres pour défendre le livre et inciter à lire. Elle met aussi souvent des messages personnels, des remerciements. Elle aime que ses images soient accompagnées de mises en page simples. Le dessin est un monde qu’elle connaît mais l’écriture est plus difficile : elle se sent alors un peu comme une usurpatrice.
Ses influences : Bosch , Topor, Peter Sis…
Mais tout cela est de l’ordre de l’inconscient, la question des influences ne paraît pas intéressante à E. Houdart.
Elle aime dessiner des choses inquiétantes parce que cela la rassure. Mais les enfants ne sont pas inquiets devant ses images, elle a envie de dire aux enfants la réalité , que le petit chaperon meure et que blanche neige c’est bien mais que le prince charmant n’existe pas…

Elle aime faire rythmer les couleurs dans l’image pour que ça pique à un endroit : elle n’aime pas si c’est trop doux ou tendre…elle vit avec cette idée que la vie est constament sous la menace de la mort mais qu’elle est magnifique…

vendredi 26 juin 2009


"On dirait que l'âme des justes donne, comme les fleurs, plus de parfums vers le soir".

mardi 23 juin 2009

«ARTISTA SARA' LEI!» Fotografia e Arte: la radicale posizione di Ferdinando Scianna, fotografo "elevato al cubo"




Ferdinando Scianna è tra i protagonisti della II Settimana della Fotografia Europea di Reggio Emilia, nell'ambito della quale è presente con la mostra "Ti guardo negli occhi, città" (piazza Casotti, fino al 10 giugno 2007). Nel corso di uno dei numerosi incontri in programma, è emersa la sua opinione sullo statuto attuale della fotografia.
Un intervento 'informale' e inevitabilmente sintetico, su cui vale però
la pena fermarsi a riflettere.

In un'epoca in cui la fotografia è sempre più avvolta da una nube più o meno impenetrabile e asfissiante di paroloni e ragionamenti 'ad effetto', che si contorcono su loro stessi come serpi in agonia fino ad esaurirsi in una vuota autoreferenzialità, sentirne parlare con toni schietti ed immediati fa decisamente tirare un sospiro di sollievo: tanto più se il relatore in questione è un'importante e carismatica personalità come Ferdinando Scianna. Figura di spicco nel panorama internazionale fin dal 1965 - anno in cui, a 21 anni appena, pubblicò il suo primo libro fotografico dedicato alle Feste religiose in Sicilia -, si trasferisce due anni dopo dalla rurale Bagheria alla frenetica Milano per intraprendere la carriera di fotoreporter ed inviato speciale per conto del settimanale "L'Europeo"; divenuto corrispondente estero, si sposta a Parigi, per rimanervi dieci anni: è in questo periodo che, grazie all'interesse di Cartier-Bresson, entra a far parte della Magnum Photos; il resto della sua carriera è storia nota ai più, in un crescendo di celebrità in ambito di fotografia di moda, pubblicitaria e reportagistica di stampo umanistico (sulla scia di un'ideale continuazione dello sguardo bressoniano), in cui tensione drammatica, 'visceralità', ironia acuminata e sincera partecipazione umana si intrecciano fino a dar vita ad una cifra stilistica originale e facilmente riconoscibile. Non è però mia intenzione dilungarmi adesso sulle caratteristiche salienti della sua opera, dato che vorrei qui limitarmi all'esposizione di alcuni punti fondamentali emersi nell'ambito di un incontro che lo ha visto protagonista, svoltosi in seno alla II Settimana della Fotografia Europea organizzata a Reggio Emilia. Consentitemi per prima cosa di consigliarvi caldamente la partecipazione a questo tipo di manifestazioni (tra l'altro sempre più numerose e curate), che danno la possibilità di confrontarsi, anche se indirettamente, con un gran numero di personalità ed opinioni con le quali magari ci si potrà trovare in disaccordo, ma che risultano ad ogni modo fondamentali per costruirsi una propria, autonoma idea sull'argomento. Trovarsi ad ascoltare Scianna, per esempio, che col suo pungente sarcasmo e la sua colorita e sicilianissima spontaneità ragiona di 'peperonità' e di Edward Weston, è un'esperienza unica, che tra una risata e l'altra conduce con leggerezza alla riflessione su alcuni punti nodali intorno allo statuto della fotografia. Vediamo quali.

Il dibattito "la fotografia è o non è da considerarsi arte?", per esempio, che accompagna la fotografia fin quasi dalla sua nascita facendola fluttuare su inconcludenti fiumi di inchiostro e parole, è risolto da Scianna, sintetizzando al massimo, con un'affermazione tra il risentito e il provocatorio; a chi si azzardi incautamente a definirlo 'artista', Scianna ribatte infatti: "Artista sarà lei! Io sono fotografo. Fotografo. Fotografo". Un fotografo elevato al cubo, quindi, impegnato a difendere con veemenza la propria specificità espressiva (che è poi lo specifico fotografico tout court) da una 'contaminazione' che, secondo la sua opinione, ha finito per snaturare l'identità stessa dell'atto fotografico. Una posizione quantomai controcorrente, estremizzata per necessità, che affonda le sue radici in quegli anni Sessanta che lo videro esordire come fotografo. La sua indagine fotografica sulle feste religiose in Sicilia, una volta pubblicata in volume (libro che ha poi fatto scuola), fu accompagnata da un testo di Leonardo Sciascia che, tra le altre cose, affermava il carattere sostanzialmente materialista della religiosità siciliana: tesi che sollevò un prevedibile polverone di polemiche. Tra i vari giornalisti-intellettuali che criticarono il pensiero di Sciascia, ce ne fu uno che, nonostante ciò, invitò Scianna a tenere una presentazione delle immagini che componevano il libro incriminato: lodando la bellezza di quelle fotografie, considerate alla stregua di opere d'arte, il giornalista le presentò appunto come 'creazioni' di un 'artista', e non come testimonianze veritiere della realtà; la polemica, dunque, non aveva più senso di esistere. Fu allora che Scianna si rese conto che mai e poi mai avrebbe voluto essere considerato un artista, se ciò significava destituire di ogni credibilità le sue fotografie e il suo intero lavoro; tutto ciò lo portò ad individuare nell'ingresso della fotografia nel mondo dell'arte nient'altro che un tetro funerale, una sorta di passaggio dall'onesto campo del reale a quello, in un certo senso menzognero e senz'altro illusorio, dell'immaginario.
Ecco che, da questo punto di vista, anche l'espressione comune "fare una fotografia" finisce per rivelare il suo ambiguo doppiofondo, costituito da quel "fare" che implica l'esistenza di un atto creativo e, di conseguenza, una sofisticazione del reale che allontana inevitabilmente l'immagine dalla verità. Scianna finisce così per tirare in ballo l'argomento storicamente più utilizzato dai 'nemici' della fotografia (nemici nel senso di 'contrari alla sua inclusione nell'ambito delle arti'), ovvero la necessaria vicinanza del referente (del reale fotografato) quale condizione inalienabile per la creazione di un'immagine fotografica. Una caratteristica, questa, che da limite vincolante può tramutarsi in punto di forza, nel momento in cui si smetta di concentrarsi sulla collocazione ad ogni costo della fotografia in un qualsivoglia ambito a lei esterno, per tornare a considerare le sue straordinarie specificità: solo così, probabilmente, si potrà evitare che la fotografia finisca per essere fagocitata dall'arte, fino ad annullarsi in essa.



Rifacendosi alle celebri immagini di Weston, Scianna sembra schierarsi contro la presunta capacità di trascendere il reale propria della fotografia, chiarendo come secondo lui Weston fosse ben lungi dal voler (e poter) rappresentare un'ideale ed immateriale "peperonità": fotografava 'quel' peperone, e non certo l'idea trascendente che gli si celava platonicamente dietro. Evocando poi l'ipotetica, spassosa scena di Weston e la Modotti che si cucinano alla griglia quello stesso peperone subito dopo averlo immortalato, Scianna non fa altro che 'desacralizzare' l'atto fotografico, portandoci a riflettere su come questo suo essere poco incline alla deriva filosofica non sia da considerarsi necessariamente un difetto, quanto una sua caratteristica peculiare, che contribuisce a conferirgli un'identità autonoma e che vale dunque la pena preservare. Insomma, una posizione polemica e radicale (esposta con troppo fervore per non incappare in qualche inesorabile contraddizione), che, a fronte di un fumoso ed astratto chiacchiericcio senza fine che ci raggiunge da ogni parte, ci riporta con i piedi per terra, invitandoci a riconsiderare lo statuto della fotografia alla luce di argomentazioni più concrete ed 'elementari': e a dirsi, soprattutto, un po' più 'fotografi' (e ben fieri di esserlo) e un po' meno 'artisti'.
Lasciandosi per un attimo alle spalle la distinzione tra fotografia 'alta' o 'bassa', d'autore o amatoriale, Scianna ci ricorda come alla base di ogni atto fotografico ci sia, in fin dei conti, il prosaico concetto dell'album di famiglia: l'intero percorso di un fotografo si configura così (o almeno: dovrebbe configurarsi) come un incessante tentativo di raggiungere quell'autentico e disinteressato sentimento di necessità, quel bisogno impellente che muove il padre di famiglia nel momento in cui fotografa il figlio che gioca con la sabbia sul bagnasciuga o che spegne le candeline del suo ennesimo compleanno.
Riscoprire questa urgenza semplice e genuina potrà forse servire a limitare l'inevitabile inquinamento della pratica fotografica dovuto proprio al suo essere finalmente riuscita a farsi accogliere nel mondo delle arti (e quindi del collezionismo, del blabla di critici e curatori, della musealizzazione, del mercato...). Ed è più chiaro che mai, Scianna, quando senza la benché minima diplomazia afferma: "Alla fin fine, si sa, tutto il gran discutere su quale etichetta appiccicare a una cosa mira soprattutto a decidere che prezzo scriverci sopra".

Serena Effe © 05/2007

lundi 22 juin 2009

jeudi 11 juin 2009


negli ultimi giorni la vita mi sembra a volte raggiante altre volte una maratona che richiede tutti i miei sforzi e la massima concentrazione per ottenere di arrivare col sorriso sulle labbra alle otto di sera. nelle mie quotidiane peregrinazioni in lungo e in largo per la capitale, valigetta alla mano, a volte alzo lo sguardo e qualche balconcino ben curato e ornato di fiori mi concede un minuto di buonumore. anche il sole, che gioca a nascondino fra le nuvole nere di questi giorni provoca in me lo stesso effetto.
è vero che a queste latitudini la voglia di estate comincia a diventare fisiologica.

vendredi 29 mai 2009


La place Tien An Men c'était il ya vent ans.

mercredi 27 mai 2009


qust'anno scolastico sta terminando e un nuovo lavoro sta per cominciare. in questo sturm und drang di grandi cambiamenti personali, tiro le fila della stagione passata e guardo davanti a me. chissà cosa penseranno di me i miei studenti, di una giovane prof che viene da un paese tanto limitrofo quanto esotico, popolato da personaggi "benneschi" quali donne perennemente in nuisette e uomini da bar sport.
stereotipi che hanno tralaltro trovato conferma sulle pagine autorevoli del primo quotidiano nazionale transalpino una decina di giorni fa in un articolo sul premier italiano. quindi c'è poco di cui stupirsi...
il mio nuovo lavoro sarà nel settore dell'arte contemporanea. non sono neofita del settore ma questa volta l'approccio sarà connesso agli aspetti economici e materiali. fondamentali certo, quali la ricerca di fondi. togli al ricco per dare al povero, affinchè le giovani pubblicazioni di settore ricevano finanziamenti dai templi della cultura.
come robin hood.
un'altra ardua missione per la nostra super eroina.

lundi 25 mai 2009


Gay Liberation Front and gay students and supporters demonstrate & occupy N.Y.U.’s Weinstein Hall, for the rights of gay people on campus. Photo by Diana Davies, 1970.

mardi 5 mai 2009

Pippi, la ribellione vista dai bambini


“Pippi, Pippi, Pippi, che nome fa un po' ridere ...ma voi riderete per quello che farò.”
E chi la dimentica quella canzoncina intonata da una ragazzina ribelle che – calze multicolori, trecce rosse e viso lentigginoso - attraversava con fierezza una sonnolenta provincia svedese con l'unico scopo di mandarne all'aria ogni forma di conformismo? Ma tant'è, Pippi Calzelunghe questo faceva e lo faceva con le armi della leggerezza, dell'ironia e persino della magia. Irresistibile quando cavalcava il suo cavallo bianco a pois neri, la scimmia sulla spalla (erano pur sempre gli anni '70 e Pippi un po' svagata sembrava), con quel topo sempre appresso che “tutto il suo formaggio vuole mangiar”. Hippie ante-litteram (il testo è del 1945), Pippi Calzelunghe ha abitato a lungo l'immaginario di chi tra il 1969 e il 1973 - gli anni in cui è andato in onda il telefilm omonimo – era ancora troppo giovane per “fare” la rivoluzione ma già pronto a sentirne l'irresistibile richiamo. Un richiamo che a quell'età poteva anche passare attraverso l'idea di una grande casa (il mondo) in cui vivere circondati solo da amici (Annika e Tommy) e da animali, senza genitori tra i piedi (leggi autorità di qualsiasi tipo) o al massimo con un padre che di tanto in tanto passa a trovarti e che viene accettato solo perché ha l'encomiabile dono di fare per mestiere il pirata.
Nella vita di Pippi Calzelunghe nulla - agli adulti - poteva apparire normale. Questo era il bello, questa per “noi” era la trasgressione. E non si trattava solo di vivere con un cavallo, una scimmia e un topo. Né di saltare su di un tavolo o deridere la scuola e i suoi strani abitanti. Roba da principianti.
Era “quel voi riderete per quello che farò” la vera ribellione di Pippi (e anche la nostra). Una ribellione cui la rossa streghetta non esitava ad aggiungere un pizzico di realistico sogno: “a volte sono un po' magica – cantava Pippi – e quello che tu vuoi/ dillo a me/ che forse te lo darò”. Che un altro mondo fosse possibile, Pippi Calzelunghe (nonché la sua creatrice, la scrittrice Astrid Lindgren) lo sperava già negli anni Settanta.
Oggi Inger Nilsson, l'attrice svedese che ha interpretato Pippi sugli schermi, compie cinquant'anni. Vogliamo farle gli auguri e ringraziarla per aver cavalcato insieme a noi una piccola rivoluzione. In sella, però, a un grande cavallo bianco. Che si chiamava “zietto” e non “papi”.
Iaia Vantaggiato

mardi 28 avril 2009

samedi 18 avril 2009

"Le hasard a des intuitions qu'il ne faut pas prendre pour des coïncidences"

My Uncle: M. Hulot à la conquête de l'Amérique


Homo sifflotant, flâneur immature au falzar trop court, M. Hulot a la démarche d'un dadais effaré, un jeu de jambes imprévisible, alternance déroutante de grandes enjambées et de valses-hésitations giratoires. Ses déambulations incongrues de rêveur échassier trahissent une répugnance à emprunter les sens obligatoires et les routes balisées. D'instinct, il opte pour la trajectoire oblique, la diagonale du fou.

Dans Mon oncle (1958), il fait bande à part. Rebelle aux habitats dotés du tout-confort, lieux rectilignes et géométriques, il habite un vieux quartier de Saint-Maur qui respire bon le refus des entraves, la poésie rétro et le laisser-aller. Le film est une dénonciation de la déshumanisation des petits soldats du conformisme, des pachas de la mécanique, des petits-bourgeois envoûtés par le suréquipement électroménager. Otages de leur villa tout en formica, gadgets et rites synchrones, sa soeur et son beau-frère, les Arpel, incarnent un ridicule esclavage au paraître. Le burlesque abandon du vivant au profit du superficiel.

Entièrement restaurée grâce à la Fondation Gan, la version que l'on nous propose aujourd'hui est inédite. Il s'agit d'une version anglaise, réalisée par Jacques Tati à l'intention du marché américain. Se refusant à doubler ses acteurs et rechignant à recourir aux sous-titres (dont les Américains ne sont pas friands), Tati a tourné chaque scène deux fois, avec les mêmes comédiens, procédant aux modifications nécessaires quand le texte intervenait dans l'image : l'inscription "Ecole" est remplacée par "School", "Sortie" devient "Way".

Le négatif de cette version a été découvert lors de la recherche d'éléments originaux pour la restauration. Paradoxe : il est actuellement impossible de restaurer la VF originale tant que ces éléments ne sont pas retrouvés.

Mais les modifications ne s'arrêtent pas là. Cette version "made for USA" recèle des différences de contenu par rapport à la version connue en France. "Aucune scène n'est réellement commune : prises, rythmes, il n'y a pas deux plans semblables", dit la distributrice du film, Dominique Welinski. Plus longue, la VF montre par exemple un vendeur de bretelles et une bataille d'artichauts lors de la fête foraine qui ont disparu dans la VA. La scène du dialogue de sourds entre les époux Arpel, le son de leur voix étant couvert par le bruit des appareils électroménagers, a disparu de la VA. Par contre, le dîner du petit Gérard est plus long dans la VA que dans la VF, où l'on ne voyait pas Mme Arpel désinfecter les aliments de son fils à l'aide d'un stérilisateur à vapeur.

Ces détails ne sont pas innocents. Pierre Etaix, alors assistant de Tati, raconte que certains éléments ont été ôtés de la VA, où ils auraient été mal compris : c'est le cas des mots croisés, divertissement essentiellement européen. Le marché de Saint-Maur distille quelques étonnantes variations : dans la VF, une Française achète des pamplemousses, dans la VA, c'est une pimbêche anglaise qui interpelle le marchand de quatre-saisons en franglais : "Vous avez grapefruit, s'il vous plaît ?"

LE PEUPLE BARAGOUINE

Le plus étonnant est la façon dont Tati a intégré de l'anglais dans les dialogues. Dans la VA, seuls les bourgeois parlent anglais, le peuple continue à baragouiner la langue de Rabelais. Le gamin baragouine du british, ses copains de la rue en sont incapables. Dans la scène où ces garnements font croire aux automobilistes que leur véhicule a été percuté, un banlieusard vocifère en français tandis qu'un gentleman use du vocabulaire d'Oxford.

David Bellos, biographe de Tati d'origine britannique, y donne une explication bien de chez lui : Tati "utilise l'anglais de la façon dont la culture française craignait qu'il soit utilisé, c'est-à-dire comme vecteur de distinction, de supériorité et de richesse". Date symbolique, à ses yeux, "dans l'histoire des anxiétés culturelles françaises" (Jacques Tati, sa vie et son art, Seuil, 2002).

Si tel fut le cas, Jacques Tati aurait été un pionnier de l'exception culturelle. My Uncle ayant reçu l'Oscar du meilleur film étranger en 1959, Tati se vit offrir par Hollywood un budget illimité pour réaliser son film suivant aux Etats-Unis, à deux conditions : que la vedette en soit Sophia Loren et que le titre soit Mr. Hulot Goes West. Jaloux de son indépendance, il aurait répondu : "No, Sir, Mr. Tati Goes East", ce qui, en période de guerre froide, fut très mal perçu et le fit passer pour un "rouge".

C'est au cours de ce séjour qu'il fit aux Etats-Unis qu'il aurait, sur sa demande, passé une après-midi avec Stan Laurel, Buster Keaton et Mack Sennett. Et que ce dernier lui aurait demandé pourquoi il s'était donné la peine d'apprendre l'anglais : "Je vous comprends tellement mieux quand vous ne dites rien !"

Film français. De et avec Jacques Tati, Jean-Pierre Zola, Adrienne Servantie. (1 h 53.)

Jean-Luc Douin

mercredi 8 avril 2009


Silvio Berlusconi: "Les sinistrés du tremblement de terre doivent prendre ça comme un week-end en camping"

mardi 7 avril 2009

Le Grand Macabre, l'opéra de toutes les audaces


Après sa création belge au Vlaamse Opera, l'œuvre de Ligeti arrive enfin à la Monnaie où Peter de Caluwe a demandé aux maîtres catalans du visuel de la Fura dels Baus de mettre en images cette sulfureuse fable onirique. Entretien.


« Le Grand Macabre », pour vous, n'est-ce pas le sujet rêvé ?

C'est un sujet qui nous a tout de suite emballés. Il y a une rupture de logique avec le théâtre traditionnel, même si Ligeti a conservé l'essentiel de la pièce et des personnages de Ghelderode. C'est le théâtre et la musique qui se moquent d'eux-mêmes dans une gigantesque autodérision. On imagine mal à l'opéra qu'un mec bourré se mette à chanter des coloratures dignes de Lucia di Lammermoor ! De même il y a un peu de Don Quichotte dans Nekrotzar et on n'arrête pas de répéter à Chris Merritt qui chante Piet the Pot : « Pense à Sancho Pança ! »

Quelle est votre perception de ce scénario de fin du monde ?

L'opéra ne nous parle pas de la fin du monde, mais de la peur de la fin du monde. La peur est un sentiment très physique, presque animal. Et c'est elle que nous voulons rendre dans son côté « physique ». Le décor représente un grand corps qui a peur de mourir et c'est lui qui incarnera Breughelland.

Comment rapprochez-vous ce grand corps de votre principe de réalité ?

Il s'agit d'un corps très précis, celui de Claudia, une de nos amies comédienne. Au début, on la voit attablée, occupé à manger un MicMac(abre). Elle a peur, se penche, ouvre la bouche et on rentre dans le rêve. Son corps immense (debout, elle mesurerait 16 mètres !) devient le paysage de Breughelland.

Tout le travail est très organique. Les amants cachés apparaîtront dans un de ses yeux, le balcon des ministres sera dans les vertèbres et Go-Go, le glouton, habitera les intestins. Ce corps s'ouvre et se fragmente, avec des côtés presque surréalistes.

En fait, Breughelland se réfère directement à Jérôme Bosch.

Mais l'angoisse ne finit-elle pas par disparaître.

Oui, Parce que, finalement chez Ligeti, on a l'impression que la mort a été trompée et elle s'efface. On a pu survivre à la mort. Et on doit donc jouir de la vie.

« Nous avons soif. Ergo, nous vivons. »

vendredi 27 février 2009

Ingmar Bergman a copié sur Victor Sjöström, Renoir sur Stroheim, Kubrick sur Ophüls, etc.
C'est quelque chose de normal.

jeudi 12 février 2009

Arretons-les


Berlusconi : "C'est la première Italienne condamnée à mort"


Ce mardi, la droite, l'Eglise catholique, le Vatican et tous les adversaires de l'euthanasie accusent la famille d'Eluana, la justice et même le président de la République, qui avait refusé de signer un décret d'urgence destiné à la "sauver", d'avoir tué la jeune femme. "Que le Seigneur l'accueille et pardonne à ceux qui l'ont conduit là", a lancé le "ministre de la Santé" du Vatican, le cardinal Javier Lozano Barragan. Benoît XVI, qui ne s'est pas encore exprimé sur le décès, avait condamné de son côté il y a quelques jours encore l'euthanasie, qualifiée de "solution indigne de l'homme".
Sur le plan politique, Silvio Berlusconi accuse nommément le président de la République, Giorgio Napolitano. "Eluana n'est pas morte de mort naturelle, elle a été tuée. C'est la première Italienne condamnée à mort. Napolitano a fait une grave erreur", affirme le Premier ministre. "Je suis serein car j'ai fait ce qui était juste", ajoute-t-il.

The Brig, Jonas Mekas, 1964



Nel 1964, Jonas Mekas firma The Brig, registrazione filmata dell'omonimo lavoro del Living Theatre, un'opera angosciosa e drammatica: un violento atto d'accusa contro la brutalità delle prigioni militari. The Brig viene girato "in forma rocambolesca", con la polizia che spinge sui battenti del teatro e la censura che tenta di impedire in tutti i modi la produzione.


The Brig - scritto da Kenneth Brown veterano del Corpo dei Marines, sopravvissuto al carcere statunitense negli anni ’50 -è’ un testo breve diviso in due atti e sei scene che racconta una giornata ordinaria dalla sveglia dei reclusi, alle quattro del mattino, fino all'ora di tornare a letto, nella prigione militare di Okinawa, in Giappone.

In queste pagine Brown racconta una realtà quotidiana fatta di violenze e di assurdi divieti che mirano alla totale spersonalizzazione dell’individuo. Al debutto, nel 1963, lo spettacolo riscuote un enorme successo e, al contempo, provoca grande scandalo, entrando così a far parte della storia del teatro.


Il cuore del teatro di impegno civile e politico è il Living Theatre, un muscolo involontario che dal 1947 tiene in vita il concetto di arte come denuncia. In tempi tormentati dalla violenza delle guerre, il Living è tornato a battere forte sulle assi del palcoscenico con uno dei suoi spettacoli di punta: The Brig, appunto.


'Crudeltà' è la chiave di volta di The Brig, presa in prestito dalla poetica di Artaud.


Il film di Mekas vive dell’ossessivo e quasi ininterrotto ritmo sonoro prodotto dal marciare dei prigionieri, che proietta lo spettatore in una sorta di ipnosi. Pause, segnate da profondi respiri dei prigionieri costretti ad estenuanti marce, frasi rituali urlate per avere licenza di oltrepassare le inutili linee bianche che delimitano gli spazi della gabbia, i ritmi caotici/ordinati dei deliri a cui i carcerieri sottopongono i malcapitati, ne sono l’ossatura sonora.

All’interno di questa gabbia ossessiva, tanto sonora quanto fisica, vive una infinita serie di soprusi fisici e psicologici, prodotto di assurdi rituali di precisione che hanno come scopo la programmazione sistematica dell’uomo, e la sua spersonalizzazione.


Attraverso la caricata rappresentazione di questo bestiale ammaestramento, che nel carcere raggiunge il massimo livello di atroce surrealismo sadico, a chiunque è più chiaro (e lo sarà per sempre) quanto la soppressione dell’individuo, piegato all’obbedienza e all’allenamento praticato in tutti gli eserciti, possa trasformare ogni uomo e donna in assassini senza rimorsi.


Con The Brig, Jonas Mekas vinse il Leone d’Oro come migliore documentario al Festival del Cinema di Venezia.

jeudi 5 février 2009

Renato Guttuso

Renato Guttuso, uno dei massimi esponenti di un realismo non esente da grandi metafore esistenziali e da un sottile citazionismo, realizza questa tela nel 1972. Ripropone la laica cerimonia tenuta in occasione dei funerali del segretario del PCI. Le caratteristiche dell'opera, la rappresentazione dei personaggi, il contrasto fra le bandiere rosse e il bianco e nero delle figure, richiamano alla mente un parallelismo con quel neorealismo cinematografico, di De Sica e Rossellini, sviluppatosi nel secondo dopoguerra.