mardi 15 janvier 2008


Dietro ogni problema c'è un'opportunità.

(Galileo Galilei)

Trasmutazioni creative e cyberfemminismo

E' questa l'ultima frontiera del cyber femminismo, teorizzato dalla studiosa americana Donna Haraway, che prende addirittura l'immagine del cyborg ad emblema di un definitivo superamento della dicotomia maschile/femminile, oltre che di ogni identita' minoritaria alternativa alla razionalita' classica. Il connubio uomo-macchina serve in tal modo a smascherare la presunta naturalita' della natura umana e di conseguenza anche a superare un pensiero della 'differenza' (Luce Iragay), troppo ancorato ai condizionamenti del biologico.Un terzo genere, piu' aperto e democratico, si candida cosi' a far da terreno di incontro tra i sessi tradizionali. Memore forse delle antiche suggestioni mitiche narrate nel Simposio di Platone, sull'umanita' originaria divisa nelle tre unita' sferiche e armoniche dell'uomo/uomo, donna/donna, uomo/donna, separati traumaticamente da Zeus per paura della loro forza? Il gioco delle associazioni puo' estendersi al presente, al trionfo dell'androgino e dell'ambiguo nella nostra cultura mediale, da David Bowie a Madonna, da 'La donna del soldato' ad 'Addio mia concubina' a 'M.me Butterfly' di Cronemberg. Nell'anonima comunita' virtuale, senza eta', sesso e corporeita', del cyberspazio, ne sono ulteriori segnali la rivendicazione di forme 'trans' di superamento degli stereotipi sessuali o di pratiche erotiche estreme in chiave antagonista ('inversione dei ruoli' inclusa).Al centro, provocazioni a parte, c'e' l'emergenza reale di una dissoluzione antigerarchica delle rigide fisionomie prestabilite e della possibilita' positiva di reinventarne altre. é questa la grande sfida che si presenta in generale all'arte, nell'accezione di pensiero mobile teso a spingersi oltre ogni certezza, in un altrove trasversale di contaminazioni aperte alla differenza. Ma e' una sfida di cui proprio le donne, in virtu' della loro stessa storia, possono e devono approfittare, quale invito a riscrivere se stesse, anche a partire dal proprio corpo: come e' prefigurato nel lavoro inquietante della performer francese Orlan.Gran parte delle proposte piu' radicali e interessanti delle artiste donne (o donne artiste?) degli ultimi anni ha a che fare del resto con questo clima di sensibilita', percorso anche dalle promesse ambivalenti della fecondazione artificiale e dell'ingegneria genetica. In questa fase, prioritaria sembra soprattutto una sorta di 'autocoscienza eversiva', che faccia i conti senza belletti con tabu' e stereotipi della sessualita' (pornografia ed escrementi compresi), con il corpo medializzato, ma anche con i cliche' e le ossessioni femminili: si pensi a Cindy Sherman, Nan Goldin, Kiky Smith, Janine Antony, Sylvie Fleury, Rona Pondick, Sue Williams, Elke Krystufek, Janet Biggs, Christine Lidrbauch Bettina Rheims, Pipilotti Rist, Marion Barouk, Liliana Moro, Eva Marisaldi, Laura Ruggeri... Tante 'cattive ragazze' cui fanno da contraltare le provocatorie azioni di disturbo nel sistema artistico statunitense delle mascherate e incazzate Guerrilla Girls ,tra cui si sospetta che ci sia addirittura Susan Sontag. Esempi eccessivi, i cui rimandi piu' hard provengono soprattutto dalla scena musicale underground (le Riot Girls, Miss DJAX UP, Diamanda Gala's) e letteraria (Kathy Acker, Pat Cadigan). Paradossalmente hanno un risvolto piu' leggero, ironico e autoironico invece, le proposte di utilizzo estetico degli strumenti tecnologici, che ribaltano una certa tradizionale diffidenza femminile. Lo dimostrano la fascinazione per la realta' virtuale di Jenny Holzer o il lavoro sulle implicazioni relazionali dell'interattivita' di Monika Fleishmann, Agnes Hedegus, Christa Sommerer, Sabine Reiff e Flavia Alman. Sintomo di un interesse sempre piu' diffuso sul piano internazionale sono anche le sperimentazioni elettroniche di Linda Dement e Isabelle Delmotte e il moltiplicarsi di esperienze espositive su questi temi. Per ragioni culturali e non, piuttosto poche sono invece le testimonianze di questo tipo in Italia, come emerge anche dalla selezione in mostra.Eppure la sensazione e' che sulla liberta' di sperimentare nuove modalita' nell'universo comunicativo si giochi la partita delle donne, delle artiste e, probabilmente, anche dell'arte. Ma forse le tracce di questo cambiamento vanno cercate soprattutto altrove, fuori dalle chiusure individuali e dai luoghi deputati degli steccati disciplinari: in un' altra area di mutazione trans, tra arti visive, letteratura, musica, scienza, spettacolo, massmedia... ancora da definire. A Laurie Anderson, creatura elettiva di quest'universo, il diritto allora di una chiusa: "la tecnologia e' come un fuoco intorno al quale ci si raccoglie e si raccontano le proprie storie".
Antonella Marino


Lady Lilith, Dante Gabriele Rossetti, 1868

Le incursioni di papa Ratzinger


Perché ci indignamo tanto? Perché siamo così intolleranti e settari da non volergli dare la parola? Provo a spiegarlo in due parole. In primo luogo perchè le università, per lo meno quelle pubbliche, sono - negli stati non confessionali - una comunità di studiosi, docenti e discenti, di tutte le discipline universalmente riconosciute, di tutte le scuole di pensiero, di tutte le culture e gli orientamenti politici e religiosi, scelti dai loro pari per i loro contributi scientifici e culturali. Nessuno di loro può però accettare che qualcuno, per quanto vanti investiture dall'Alto, possa loro prescrivere cosa debbano o possano dire, fare o pensare. Ognuno ha la propria coscienza e la propria deontologia professionale. In particolare possiamo tollerare che il papa possa dire ai nostri colleghi biologi che non devono prendere sul serio Darwin? Oppure ai nostri colleghi filosofi che è «inammissibile» - parole del professor Ratzinger a Ratisbona - «rifiutarsi di ascoltare le tradizioni della fede cristiana»? Concludo con una domanda semplice. Una cosa simile potrebbe mai accadere non dico nella Spagna di Zapatero ma anche in Francia in Germania, in Inghilterra o negli Stati Uniti?
Marcello Cini

Rina Faccio, in arte Sibilla Aleramo


Povera vita, meschina e buia, alla cui conservazione tutti tenevan tanto! Tutti s'accontentavano: mio marito, il dottore, mio padre, i socialisti come i preti, le vergini come le meretrici: ognuno portava la sua menzogna rassegnatamente. Le rivolte individuali erano sterili o dannose, quelle collettive troppo deboli ancora, ridicole quasi, di fronte alla grandezza del mostro da atterrare.


Quali prati ci aspettano, verdi folti iridati di genziane, per affondarvi insieme i nostri volti?


Ubbidisci al comando della tua coscienza, rispetta sopra tutto la tua dignità, madre: sii forte, resisti lontana, nella vita, lavorando, lottando. Consèrvati da lontano a noi; sapremo valutare il tuo strazio d'oggi: risparmiaci lo spettacolo della tua lenta disfatta qui, di questa agonia che senti inevitabile.
Io vivo nello spazio di un amplesso:
tu stesso mi maturi senza accorgerti
sotto il tepore delle tue carezze...
Ma ti confesso, e credimi:
non c'è forma di donna che continui,
dentro di me, il rovescio dell'amante.
(Confessione, Alda Merini, 26 dicembre 1948)
Al di là degli intenti descrittivi ed illustrativi, la fotografia si configura come un metodo per guardare e raffigurare i luoghi, gli oggetti, i volti del nostro tempo, non per catalogarli o definirli, ma per scoprire e costruire immagini che siano nuove possibilità di percezione.
Questo ridare vita alle cose, anche creando un reale differente, contribuisce a consolidare l'idea di un mezzo capace di riassumere in sé, in linea con la concezione originaria dell'invenzione ottica, una sorta di "grado zero della visione".
Il "pensare per immagini" di Ghirri resta legato, in ogni caso, alla possibilità di realizzare una rappresentazione che assuma, di fatto, le forme di un racconto, ove "l'ars combinatoria" delle immagini stesse assuma senso all'interno di una concatenazione delle scene proposte in relazione ad uno specifico percorso narrativo.Nel realizzare questo intento progettuale, Ghirri è stato sempre consapevole del fatto che fotografare non vuol dire duplicare automaticamente il reale, benché il sottile fascino della fotografia risieda proprio in questa sua connaturata capacità di evocare costantemente la realtà, quale che essa in effetti poi sia.