Nel 1964, Jonas Mekas firma The Brig, registrazione filmata dell'omonimo lavoro del Living Theatre, un'opera angosciosa e drammatica: un violento atto d'accusa contro la brutalità delle prigioni militari. The Brig viene girato "in forma rocambolesca", con la polizia che spinge sui battenti del teatro e la censura che tenta di impedire in tutti i modi la produzione.
The Brig - scritto da Kenneth Brown veterano del Corpo dei Marines, sopravvissuto al carcere statunitense negli anni ’50 -è’ un testo breve diviso in due atti e sei scene che racconta una giornata ordinaria dalla sveglia dei reclusi, alle quattro del mattino, fino all'ora di tornare a letto, nella prigione militare di Okinawa, in Giappone.
In queste pagine Brown racconta una realtà quotidiana fatta di violenze e di assurdi divieti che mirano alla totale spersonalizzazione dell’individuo. Al debutto, nel 1963, lo spettacolo riscuote un enorme successo e, al contempo, provoca grande scandalo, entrando così a far parte della storia del teatro.
Il cuore del teatro di impegno civile e politico è il Living Theatre, un muscolo involontario che dal 1947 tiene in vita il concetto di arte come denuncia. In tempi tormentati dalla violenza delle guerre, il Living è tornato a battere forte sulle assi del palcoscenico con uno dei suoi spettacoli di punta: The Brig, appunto.
'Crudeltà' è la chiave di volta di The Brig, presa in prestito dalla poetica di Artaud.
Il film di Mekas vive dell’ossessivo e quasi ininterrotto ritmo sonoro prodotto dal marciare dei prigionieri, che proietta lo spettatore in una sorta di ipnosi. Pause, segnate da profondi respiri dei prigionieri costretti ad estenuanti marce, frasi rituali urlate per avere licenza di oltrepassare le inutili linee bianche che delimitano gli spazi della gabbia, i ritmi caotici/ordinati dei deliri a cui i carcerieri sottopongono i malcapitati, ne sono l’ossatura sonora.
All’interno di questa gabbia ossessiva, tanto sonora quanto fisica, vive una infinita serie di soprusi fisici e psicologici, prodotto di assurdi rituali di precisione che hanno come scopo la programmazione sistematica dell’uomo, e la sua spersonalizzazione.
Attraverso la caricata rappresentazione di questo bestiale ammaestramento, che nel carcere raggiunge il massimo livello di atroce surrealismo sadico, a chiunque è più chiaro (e lo sarà per sempre) quanto la soppressione dell’individuo, piegato all’obbedienza e all’allenamento praticato in tutti gli eserciti, possa trasformare ogni uomo e donna in assassini senza rimorsi.
Con The Brig, Jonas Mekas vinse il Leone d’Oro come migliore documentario al Festival del Cinema di Venezia.
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